Itagnolo o Spagnolo?

21.02.2014 14:38

¡Adelante, itañoles, con juicio!*

Lo spagnolo è facile. Tanto basta mettere la –s a fine parola.

Vabbeh, ma essendo italiano lo spagnolo è una passeggiata.

Ma in fin dei conti italiani e spagnoli ci capiamo. Basta che parliamo piano.

Quante volte avrò sentito, nei miei dieci anni a Roma, queste affermazioni. Da italiani e da spagnoli, sia ben inteso. E quante volte, nella mia esperienza lavorativa e accademica, ho assistito al disastro totale

Perché il fatto che spagnolo e italiano siano due lingue vicine (neolatine) non significa che sia più facile impararle bene. Certo, non negherò che, per quanto riguarda l’apprendimento dello spagnolo, l’italiano sia più agevolato rispetto al, mettiamo, norvegese. E viceversa. Agevolato non significa però che non debba impegnarsi. E pure parecchio. Altrimenti sapete qual è il rischio, vero?

Ebbene sì: l’itagnolo. Ché in questo blog noi ci scherziamo, e ci piace parlare itagnolo.Ma c’è contesto e contesto. Tutto in questo mondo è dettato dal contesto d’uso (la sociolinguistica insegna). Ogni volta che qualche studente mi chiede un consiglio su come cominciare a studiare lo spagnolo, le mie prime parole sono: non dare nulla per scontato. Ci siamo passati tutti. Io stessa, che l’italiano lo parlo nella mia quotidianità da dieci anni, e ancor prima l’ho studiato a livello universitario per altri cinque, io che mi occupo d’insegnamento dello spagnolo e di certificazione linguistica, non ne sono immune. Il rischio è lì, in agguato.

Come porre rimedio, allora? Intanto, come dico per scherzo con alcuni amici ispanofoni, prendiamone atto. E dunque eccomi, come in una riunione di itagnoli anonimi: “ciao sono Carolina, e sono itagnola. Cerco di non bere un goccio, ehm, voglio dire, di non prendere il dizionario a calci nel sedere, ma qualche volta un’itagnolata non voluta mi scappa”. “Ciaaaaao Carolina”.

L’itagnolo sarebbe l’equivalente italico dello spanglish statunitense. Il guaio, per noi itagnoli, è che essendo due lingue più vicine, rispetto all’inglese, il dubbio “ma si dirà così anche in spagnolo? ma si dirà così anche in italiano?” è sempre dietro alla porta. E dunque vai di calci (sì calci, non calchi!) sintattici (“he dado un examen”), di espressioni letteralmente copiate (“el lunes llovió como dios la manda”), di neologismi (“*soluzionare un problema”). Ve lo assicuro, ne ho un quaderno pieno, tutti campioni di itagnolismi sentiti in giro (e scappati anche a me, ahimè). Non è niente di nuovo per chi si occupa di insegnamento delle lingue straniere: la L1 influenza fortemente l’apprendimento della L2. Che si parta dall’inglese, dal tedesco o dall’italiano, è uguale. Ciò che cambia è l’approccio psicologico del discente: chi s’avvicina allo spagnolo partendo dall’italiano la sente vicina come lingua e dunque si rilassa. Male! Essere rilassati è sempre ottimo: l’apprendimento di una lingua non va mai vissuto nell’imposizione e tanto meno nella coercizione (accademica, lavorativa, familiare), anche perché i risultati sarebbero scadenti. L’aspetto emotivo-affettivo è fondamentale. Ma neanche nell’arroganza del “ma non ci vuole niente”. Perché invece ce ne vuole, e pure tanto.

A volte però, a seconda della situazione (tipo… Itañolandia!), l’itagnolo è l’interlingua di chi conosce bene entrambe le lingue e in questo caso diventa un punto d’incontro, un piccolo universo, un occhiolino, una battuta simpatica, una traduzione letterale fatta per farsi due risate (“¡en la boca al lobo!”), una lingua che solo gli itagnoli possono capire. Una lingua senza regole grammaticali, lessicali, ortografiche. Ma, come tale, è una lingua che non può adoperarsi nella maggior parte dei contesti sociali, poiché la lingua è innanzitutto una convenzione.

Per poter usare l’itagnolo con un approccio ludico il livello di competenza linguistica è fondamentale: fa ridere quando sappiamo che il nostro interlocutore padroneggia entrambe le lingue e dunque vuole solo fare una battuta di spirito, insomma quando è un gesto di complicità. Fa meno ridere quando ci rendiamo conto che la L1 è stata letteralmente divorata dalla L2.

Quando l’itagnolo diventa l’unico strumento linguistico di comunicazione a disposizione è un problema: non si è più in grado di dividere entrambe le lingue, non si riesce più a capire fin dove ci si può spingere. A livello accademico è un disastro. A livello lavorativo? Dipende dal tipo di lavoro, certo, ma se fai un lavoro intellettuale (non da grandi pensatori, intendiamoci) non fai una bellissima figura.

E a livello familiare (che è quel che ci interessa su questa piazza virtuale)? Vogliamo insegnare l’itagnolo ai nostri figli? Chiaramente non dobbiamo stressare né loro né noi stessi. Non succede nulla se ci scappa un’itagnolata ogni tanto (più ogni che tanto, però!). Dobbiamo avere la consapevolezza che il rischio c’è e che dobbiamo darci da fare per evitarlo.

Ecco: impegniamoci a non insegnare l’itagnolo ai nostri figli (ci arriveranno loro da soli, e impareranno a giocarci!). E poi però diamoci da fare, noi in prima persona, a non usarlo davanti a loro, almeno finché sono nella fase di apprendimento della lingua.

Certo, certo, questo discorso fila liscio quando si tratta di genitore madrelingua o con un’elevata competenza linguistica dello spagnolo. Ma nel caso di genitori italiani che abbiano scelto lo spagnolo come seconda o terza lingua dei loro figli, e conoscendolo poco o niente lo stanno imparando insieme alla prole? Nessun problema. Solitamente l’itagnolo è un’insidia di chi dà per scontato e non compie un lavoro continuo di riflessione. E dunque, come per i madrelingua, l’importante è prenderne atto e stare attenti.

Insomma, ¡adelante, itañoles, con juicio!

*[articolo tratto da https://itanolandia.com/2012/05/15/adelante-itanoles-con-juicio/]

 

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